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Patti di collaborazione: quando cittadini e PA lavorano insieme
Quando si sente parlare di occupazione di spazi pubblici, o di luoghi dismessi che potrebbero avere un altissimo potenziale, ci si chiede spesso se le cose potrebbero andare diversamente e che ruolo potrebbe avere il cittadino. I patti di collaborazione potrebbero essere una possibile risposta a queste domande, ma per capire meglio di cosa stiamo parlando dobbiamo fare qualche passo indietro.
Quando ogni giorno ci troviamo a passeggiare per le nostre città incontriamo continuamente degli spazi, che deviano i nostri percorsi e indirizzano parzialmente le nostre azioni: aiuole, palazzi, negozi, marciapiedi, piazze. Dietro a tutti questi spazi si nasconde un mondo che non conosciamo, un mondo fatto di concessioni, permessi, appalti, opere manutentorie e dinamiche lontanissime dalla semplicità di quegli elementi dell'arredo urbano che costruiscono la nostra quotidianità.
Quando li attraversiamo o ci passiamo accanto, difficilmente abbiamo la possibilità di fermarci a pensare a quanto sia complessa la gestione dello spazio pubblico e come questa complessità rischi talvolta di lasciar spazio a fenomeni di degrado o ad esperienze collettive prive di ogni regolamentazione. Il funzionamento dell'apparato amministrativo e l'estrema complessità burocratica sembrano creare attorno a tutto ciò un alone di mistero che contribuisce a rafforzare l'idea che la gestione della cosa pubblica sia un compito che non ci riguarda, una responsabilità da imputare unicamente alle amministrazioni locali su cui noi non possiamo agire se non attraverso le nostre scelte politiche.
La realtà però ci dice tutt'altro: i luoghi in cui spendiamo il nostro tempo ci riguardano, e noi, assieme all'amministrazione pubblica, possiamo davvero fare la differenza. Nonostante le apparenze, infatti, la gestione della cosa pubblica coinvolge attivamente ogni cittadino, e tutti noi possiamo dare il nostro contributo per far si che questi spazi vengano tutelati e preservati.
Gli abitanti di una città giocano un ruolo importantissimo nella salvaguardia degli spazi e delle infrastrutture che popolano il tessuto urbano, contribuendo in vari modi a tutelarne l'agibilità e un corretto funzionamento: usufruirne in maniera rispettosa significa infatti rendere i servizi più puliti, più efficienti e più duraturi, migliorando la vivibilità del luogo. Una corretta comunicazione tra amministrazione pubblica e cittadino può decisamente aiutare a sviluppare questo tipo di consapevolezza, aiutando il singolo a scegliere le modalità più efficaci per offrire il proprio contributo.
La sinergia tra cittadino e PA, espressa tramite queste piccole pratiche di cittadinanza attiva, diventa così il primo strumento di gestione del territorio. Ma un utilizzo consapevole degli spazi è davvero l'unico modo che abbiamo per contribuire allo sviluppo delle nostre città? Che forme può assumere la cittadinanza attiva?
Una delle forme più interessanti è certamente quella del patto di collaborazione. Ma di che si tratta?

Cos'è un patto di collaborazione?
I patti di collaborazione, o patti di sussidiarietà, sono a tutti gli effetti un accordo tra cittadini e pubblica amministrazione per la gestione e la cura di un bene comune. Per mezzo di questi patti, uno o più cittadini riuniti assieme si impegnano a cooperare con un soggetto pubblico nell'amministrazione di un elemento, materiale o immateriale, di pubblico interesse, definendo con chiarezza il bene oggetto del patto, gli obbiettivi da perseguire, gli aspetti da tutelare, la durata della collaborazione e, non per ultimo, le responsabilità e i mezzi a disposizione di ognuno.
La possibilità di attuare un'amministrazione condivisa dei beni comuni costituisce un'idea relativamente nuova, entrata nella costituzione soltanto nel 2001 e ancora difficilmente accettata nel patrimonio concettuale italiano. L'articolo 118, come integrato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (in G.U. 24/10/2001, n.248), nel distribuire le competenze amministrative a comuni, provincie e città metropolitane, sancisce il dovere delle istituzioni di favorire
l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale.
Questo principio introduce una novità molto importante all'interno del nostro ordinamento, ossia il riconoscimento ufficiale del singolo cittadino come attore civile all'interno dei contesti offerti dalla quotidianità. Il ruolo di ognuno all'interno della società urbana, prima limitato alla semplice adozione di pratiche di convivenza civile, assume così una connotazione politica: in sinergia con le istituzioni pubbliche e contando sul loro attivo supporto, qualsiasi cittadino può contribuire attivamente alla cura di un bene comune, nei limiti imposti dalle regolamentazioni.
Differentemente da quanto contemplato in precedenza, con la modifica dell'articolo 118, il coinvolgimento nella gestione delle opere pubbliche si estende quindi anche a soggetti singoli, non inquadrati all'interno di nessuna rete associativa o organizzazione riconosciuta. L'informalità che differenzia questo tipo di patto da altri tipi di relazione tra enti pubblici e privati (come le concessioni, gli appalti, ecc ecc) si estende infatti anche ai gruppi coinvolti, che possono essere anche dei semplici comitati o gruppi di persone accomunate dallo stesso interesse.
Anche i soggetti istituzionali coinvolti possono essere diversi, e il loro sostegno si può esprimere attraverso modalità differenti dettate dalle necessità dell'accordo specifico. Il contributo dato dalle pubbliche istituzioni infatti non deve essere necessariamente o esclusivamente di natura economica, ma può assumere forme differenti in base alle esigenze particolari richieste dal progetto.
Il principio di sussidiarietà: orizzontale o verticale?
L'idea dei patti di collaborazione pone le proprie basi concettuali nel principio di sussidiarietà, ossia l'idea secondo cui le responsabilità e la gestione della cosa pubblica possano essere ripartite tra diversi organismi.
Il rapporto che lega questi organismi definisce il tipo di sussidiarietà con cui si ha a che fare: se gli enti si trovano all'interno di una relazione gerarchica si parlerà di sussidiarietà verticale, mentre se il loro legale sarà improntato alla collaborazione equa si parlerà di sussidiarietà orizzontale.
Per offrire un esempio di questi concetti basti pensare alla attribuzione delle competenze amministrative, principalmente in carico agli enti locali e solo successivamente accentrate in organismi più ampi. Questo tipo di ripartizione delle responsabilità esprime un sistema di sussidiarietà verticale.
Del tutto diverso è il tipo di rapporto che regola la definizione dei patti di collaborazione: all'interno di questo genere di accordi, infatti, cittadino e istituzioni pubbliche condividono un obbiettivo comune e ripartiscono secondo compromessi espliciti le responsabilità in capo all'uno e all'altro, definendo modalità di azione condivise.

Come stipulare un patto di collaborazione?
Sebbene sia teoricamente possibile stipularli con qualsiasi amministrazione pubblica, buona parte dei patti di collaborazione avviene solitamente a livello comunale, secondo specifiche modalità stabilite dall'organo amministrativo in delibere comunali apposite. Nonostante il principio di sussidiarietà orizzontale e l'invito ad adottare pratiche di amministrazione condivisa sia ormai sancito dalla costituzione, infatti, sembra non essere ancora stato definito nessun iter valido su tutto il territorio nazionale.
Generalmente, la nascita di un sistema amministrativo condiviso sembra sorgere in primo luogo dall'adozione di un Regolamento per la collaborazione tra amministrazione e cittadini per la gestione condivisa dei beni comuni da parte dell'amministrazione comunale, un documento in cui vengono definiti con esattezza tutti i dettagli inerenti la stesura del patto. Per agevolare l'adozione di tale regolamento, Labsus, progetto dedicato alla promozione della sussidiarietà orizzontale, ha proposto un modello facilmente adattabile alle esigenze di ciascuna realtà locale, consultabile qui.
Tra le cose che il regolamento si propone di definire compaiono anche le modalità di redazione e di presentazione delle proposte di collaborazione, che potranno essere definite dalle amministrazioni locali sulla base delle proprie necessità.
Nonostante qualche piccola differenza dettata dalle scelte di ogni comune, all'interno dei progetti da presentare non potranno mancare alcuni elementi chiave, fondamentali per individuare i soggetti coinvolti e le caratteristiche fondamentali del patto. Ad esempio:
- I soggetti coinvolti
- I ruoli e le responsabilità di ciascuno
- Il bene comune oggetto del patto
- Le finalità della collaborazione
- Le azioni concrete da attuare
- La durata del patto
Stabiliti questi punti indispensabili, si potrà procedere a definire del dettaglio gli aspetti più particolari dell'esperienza rifacendosi alle limitazioni imposte dalla Legge e dal regolamento adottato.

L'enorme potenzialità dell'amministrazione condivisa dei beni comuni
Per quanto le modalità attuative risultino ancora complesse, l'enorme potenzialità dei patti di collaborazione può dirsi evidente. Coinvolgendo attivamente il cittadino nella tutela e nella cura del bene pubblico, l'amministrazione pubblica può riscoprire tramite questo strumento la sua dimensione comunitaria, ottenendo un duplice vantaggio: se da un lato il contributo del cittadino può essere una grande risorsa nella riqualificazione urbana, dall'altro la partecipazione ad un'iniziativa di pubblica utilità può rafforzare l'educazione civica del singolo.
Poter agire in prima persona per un concreto miglioramento della quotidianità di tutti, confrontarsi con le problematiche concrete e con logiche organizzative troppo spesso ignorate, può contribuire a rinnovare il rapporto tra PA e cittadino. Scoprendo una dimensione comune, le amministrazioni pubbliche e la cittadinanza potrebbero trovare nella cura del bene collettivo lo spazio per un nuovo dialogo, che sappia sovvertire la concezione gerarchica tradizionale in favore di nuove pratiche di cittadinanza attiva.